Il cuore lo chiamava, Billy prese un foglio e una penna. Un pezzo di carta bianca era ricoperto di nero, era la sua prima lettera, un’emissiva d’amore, si sentiva impotente mentre il suo cuore dettava le parole. Era teso, nello stesso tempo molto felice, si sentiva bene dentro come se avesse già avuto la chiave per entrare in paradiso. Era la prima volta che provava un’emozione del genere e si rese subito conto che si era innamorato e il suo profumo lo aveva sempre con lui un profumo zagara.
Scrisse: – “Cammini nel mio cuore, con la tua essenza in fuga,mentre le ombre del giorno desta la zagara inseguita dal tramonto. Alzo la mia umile voce affamata dal crepuscolo dei tuoi occhi, stelle di mare, che cantano il tuo nome, sognando fughe nel tuo corpo. Le mie parole si fanno sottili, umide, si aggrappano al tuo volto in suppliche, chiedendo alla mia visione onirica di toccarti. Ti amo nel fiorire delle tue carezze, in un concerto che accarezza la terra e chiude al mio sonno un bacio nel cantico della tua bocca. In questo silenzio costellato al tuo pensiero, muoio, nella sete di te”.
Forse perché mio padre mi ha sempre indirizzato nella sua convezione di purezza nel sapersi donare nei sentieri altrui, ripetendomi la mano che dà, si cela, a quella che riceve, per non umiliare, soltanto donare calore al freddo dell’invisibilità. Sapere ascoltare poiché l’ascolto è una corda annodata che si snoda all’abbandono. Cerca di capirti, diceva con voce pagata, per comprendere gli altri, riflettei alle mancanze, cerca di correggerti nell’umiltà poiché la parola uccide, fa rinascere, crescere nella sapienza del sapere, cerca di conoscere e condividere quello che tu hai nella fame poiché in essa capirai. E m’indigno quando non si è insieme(parola espressione di volontariato) per un cammino di valori, un giovane cammino che deve portare al dialogo fra le persone in una nuova cultura dove l’altro riflette se stesso, domandandosi( es. Maria Teresa di Calcutta). Domando: io possessore di ricchezza umana come posso invocare e praticare la differenza, la abbandono, l’emarginazione. È solo sentimentalismo quello che si esibisce in un’associazione di volontariato? Domando. Finalità, solidarietà, determinazione, attività, espressione di dichiarazione d’impegno verso chi non può autodeterminarsi, affinché sia garantita alla persona una vita libera, serena, indipendente nel rispetto della propria dignità diventa utopia quando si compensano interessi personali nella consapevolezza di quello che si sta attuando. Il bisogno sollecitato a delle risposte alle attese sul futuro incerto già con il welfare assume in ogni sede di rappresentanza un livore contro chi (pur sapendo, di essere dimissionario) cerca di portare avanti quelle tematiche condivise con altri nell’ attenzione della dignità umana, contro ogni disuguaglianza
“ Quanto ci vuole ancora per arrivare dalla nonna?”
“ Penso che la raggiungeremo a momenti.” Quanto tempo ti fermerai?
“ Non molto credo”. Non ci vediamo da tanti anni forse la troverò cambiata.
“ Conosci la storia del suo paese?”
“No” Non l’ho mai sentito nominare.
“ Giusto”Fu la mamma a raccontarmela anni fa.
Il paese nell’antichità era una colonia greca si chiamava Suse. Si narra che molti degli antichi tesori sono sepolti nel sottosuolo. Non molto tempo fa furono scoperte delle catacombe del periodo romano, molti reperti archeologici ornano a tutto oggi alcune case nobiliari.
Questo discorso avveniva tra Giampiero e Laura due cugini che avevano trascorso la mattina al mare, sulle rive gallicese e, prima del ritorno nella propria città vollero rivedere i luoghi natii e la nonna.
Faceva molto caldo per il meriggio assolato di una classica giornata del sud, ma il desiderio di Laura di vedere la nonna la portava a non curarsi del disagio. Il cugino da parte del padre, desiderava solo accontentarla. Mentre Laura andava a visitare la nonna egli sarebbe andato a esplorare quei luoghi storici.
“ Vedi il cartello”? Siamo entrati nel paese. Questa è la strada principale. Già la riconosco e, dopo quella curva a sinistra, vedremo spuntare il cancello della nonna.
“ Come mi piaceva guardare il bosco tutto verde oltre a quei cancelli”.
“ Anche a me”
“ Senti”? Sono le cicale! “Ti fermi un momento?”
L’auto accostò morbidamente al marciapiede. In giro non c’era anima viva. Il caldo, la luce del sole e il silenzio del paese imperavano intorno.
“ Non è cambiato niente!” Laura parlava sottovoce, guardando emozionata la via, ora asfaltata ma tanto polverosa, il verde intenso degli alberi dietro le case basse, portoni chiusi e, su tutto la luce abbacinante di una giornata d’agosto.
“Lo sai mi piacerebbe vivere un posto come questo”? Quante cose potrei dipingere! Qui tutto è naturale, spontaneo, calmo. “Non c’è quella fretta che ci rode in città”.
“Io invece preferisco la città, ma, logicamente perché ho altri progetti. Riserverei un posto come questo per le vacanze come facevano i nostri padri per noi. Sceglierei, però, un luogo più vicino al mare”.
Ai cancelli della casa stettero fermi a rimirare i propri ricordi che si concretavano come in una visione magica.
“ Una sola volta sono riuscita a entrare saltando la staccionata” come fu bello.
“Quando vengo a riprenderti, fermerò l’auto qui. E’ meglio che ti avvii”.
“ Voglio solo un momento spazzolare i capelli. Sono tutti arruffati”
Prese la spazzola dal borsone poggiato sul sedile posteriore della macchina, si risistemò i capelli. Con l’abito bianco a spalline strette e la borsa estiva a tracolla, si avviò verso il suo obiettivo: la nonna. Dall’esterno tutto sembrava immutato: le anti verdi, sbiadite la tenda a pendenti metallici.
“ Certamente la zia non c’è spero solo di trovare la nonna” nell’avvicinarsi dette un rapido sguardo a un altro luogo pieno di ricordi: il belvedere che stava a un lato del cancello della proprietà. Scorse anche due amici anziani. Lui sembrava identico, forse solo con qualche ruga in più. La donna appariva più sbiadita, ma era mingherlina come un tempo.
“Non siete per niente cambiati”. Buongiorno signor. Giuseppe e signora Matilde! Mi riconoscete? E’ passato tanto tempo, ma mi pare come se fosse ieri. “Sono Laura, la nipote di Nannina”.
I due vecchi erano emozionati. Uscirono da dietro e abbracciarono la ragazza.
“ Come siete diventata bella”! “Come sarebbe stata contenta Elvira di rivedervi!”
“ certo che mi rivedrà”! Passerò subito da lei dopo questa visita. “Non l’ho dimenticata”
“ Vi siete sposata?”
“ Il pallino fisso dei paesani!” “Non sono neanche fidanzata! Ho solo trenta anni! C’è tempo per queste cose.
Dietro alle sue spalle apparve un uomo. Aveva un abito scuro, una gamba ingessata e si appoggiava con le mani sul manico del bastone.
“ Pare che mi conosca ma io non so chi è”
Lo guardò in viso e restò turbata dallo sguardo scintillante e attratto con il quale lo sconosciuto osservava la sua persona. Poi l’espressione cambiò, un cruccio marcato apparve, mentre gli occhi si socchiudevano e un risolino sprezzante rendeva spiacevole a Laura la vista di quel volto.
“ non la conosco”. Posso sapere chi è lei?
Giuseppe intervenne: E’ il signor Pasquale. “Dovete certamente averlo conosciuto quando venivate da vostra nonna.”
Com’era diverso! Un turbamento sottile le pervase e per rintuzzarlo Laura s’irrigidì Quell’uomo le dava fastidio. Aveva gelato tutto l’entusiasmo provato fino a pochi istanti prima. Poi ricordò la domanda.
“ Disegnare e dipingere fanno parte del mio lavoro”.
“Passate qui le vacanze?”
“ Nient’affatto! “Sono venuta per salutare la nonna ”.
Quale diritto aveva quell’uomo di farle domande così personali?
L’espressione di Laura divenne ancora più seria. La presenza di quell’estraneo le dava fastidio in un momento in cui tutto il suo animo era stato gioioso. Si volse verso i due anziani.
“ Adesso vi saluto. “Passo abbracciare la nonna e torno in città.”
Fece per camminare ma dovette bloccarsi perché l’uomo aveva posto la punta del suo bastone davanti ai suoi piedi. Laura lo guardò con uno sguardo alterato. Come si permetteva!
“ Chi vi ha accompagnato!”
“ Certamente qualcuno. Mica sono venuta a piedi! Adesso devo andare. “Mi aspettano”
L’uomo aveva il capo chino, lo sguardo cupo e sferzante, la posa continuava a essere indolente. Dopo un certo silenzio e sempre continuando a fissarla con gli occhi socchiusi, ritirò il bastone.
Laura guardò l’asta scivolare lontano dai suoi piedi e, senza dare nemmeno un’occhiata all’uomo, salutò sorridente ai suoi amici e si accinse ad andare dalla nonna.
“ Salutate per me suo padre è una persona rispettabile.”
Suo malgrado, Laura dovette guardarlo. Lo saluto con un cenno del capo:
“chi si crede di essere”! Che villanzone! “Che persona antipatica!”
Scorse la nonna ferma sulla soglia della porta.
“Non dirò niente alla nonna: Perché doveri farla preoccupare? “Mi devo calmare, altrimenti si accorge che sono agitata.”
Tirò un grosso sospiro e piano, piano si avvicinò a lei. Le bastò pensare ai nonni di Elvira per ritrovare il buonumore. L’accoglienza della nonna fu molto affettuosa. Era ancora giovane e bella ai suoi occhi.
Laura riconobbe i tratti gentili del suo volto e si sentì commossa. Passarono molte ore tra i ricordi.
Scorse l’auto di Giampiero ferma sulla stradina si salutarono con rinnovato affetto promettendosi di vedersi più spesso. Presero la via del ritorno, Laura discorse allegramente col cugino, poi, decise di distendere il sedile per rilassarsi e chiudere gli occhi. Ciò che l’aveva colpita era quell’uomo, quello strano comportamento, quella sorta di repulsione che non capiva. quel salutare un po’particolare Che storia vi era dietro?
Erano ormai trascorse tante notti in quella città frettolosa e distratta, notti lugubri in cui si risuscitava la paura. Vagava e vagava senza meta, consumandosi come si consuma la fiammella di una bugia, portandosi dietro un’amarezza che traspariva in ogni puntare d’occhi profondi e malinconici. Dintorno non vedeva altro che un esercito di larve umane sbucare nella nebbia come fantasmi. E come fantasmi dissolversi nel nulla. Alfine, stremata, Laura si accasciò sul letto come un sacco di rifiuti. Riversa sulla spalliera, si prese la testa fra le mani, risentì quelle parole che gli si attagliavano il cuore.
All’improvviso scaturì un groviglio di voci, ogni richiamo un ricordo, un tornare indietro nel paesaggio della memoria. E là, in cima, dove ergeva il paese, una casa costruita in pietra viva, circondata da siepi di rose, nel giardino un’altalena appesa a un albero d’ulivo, tre o quattro gallinelle che stramazzavano qua e là e due bambini che le rincorrevano per gioco. Se la portava dentro come indossasse un lutto. Le veniva ancora da piangere, provava quella dolorosa sensazione di lacerazione che non riusciva a domare. Riaffacciavano i sensi di colpa. Eppure aveva dato fondo a tutte le sue energie in un disperato bisogno di riuscire, di riscattarsi. Era partita da sconfitta, aveva lasciato il paese per annullare la frustrazione e l’auto rimprovero.
Ed ecco nella tenebrosità apparire un volto con gli occhi azzurri e capelli biondi che si aprivano al vento.
“No, aspetta”! Non andare via!
“Ti prego!” supplicò con voce straziata…
“ Con chi ce l’hai, amica?” le chiese quel bambino dallo sguardo offuscato dal dolore…
“A. tu?” rispose Laura frugando intorno con gli occhi.
“ Era dolce, caro . così bello che paresse un angelo.”
Sempre la stessa visione, da quell’ineluttabile incontro, non ce la faceva proprio a dimenticarla.
“ No, non posso, no”! E’ come se l’avessi inchiodata per sempre nell’anima.”.
Il tempo muta e con l’età modificano i sentimenti. Pur accantonando i dispiaceri, arriva il giorno che affiora, è nella legge delle cose. Quel bambino si chiamava Antonio erano inseparabili, richiamata dalla nostalgia, rivide la tavola sotto la pergola con la tovaglia a quadretti rossi e bianchi, le sedie di legno impagliate, un silenzio dolcissimo interrotto dal brusio delle foglie appena mosse. Festeggiava il suo compleanno, le grida, le risate riempivano la giornata. Antonio volle salire sull’altalena, aveva detto a Laura di spingerlo. Sembrava che volasse, voleva andare sempre più in alto, sempre più in alto, toccare il cielo. Laura lo spingeva spensieratamente quando di colpo si ruppe la corda, Antonio cadde, un rumore assordante riempì le orecchie di Laura sconvolgendola.
Vidi gli occhi di Antonio che la guardavano stranito.
“ Perché”sembrava chiedessero.
“ L’ho fatto solo per amore” affermava lei distogliendo lo sguardo.
Accorse il padre di Antonio, il signor Pasquale, si limitò a guardarla in silenzio, aveva sperato fino all’ultimo che le dicessi una parola. Tutto si terminò in un silenzio raggelante. Era proprio finita La spinse verso la porta, prima che voltassi l’angolo, lo vidi rientrare con passo stanco. Alla morte d’Antonio, si era creato un vuoto incolmabile. Laura aveva solo quattro anni quando prese il treno per una nuova destinazione. Sul treno che la portava in una grande città, ripose quel ricordo in un cassetto che è la memoria, poteva solo tenerlo piantato nelle fibre dell’anima sua. Nella voce di Laura si avvertì un’ombra di rimpianto.
“ E poi?” disse all’improvviso.
“Cos’è successo, poi?”
“ Ho cercato giuro”! Ho cercato! Ho chiesto …. Supplicato … ma non ho trovato niente! Ogni giorno era una sfida, un’amara delusione, un cadere sempre più in basso. Cominciai ad avere pietà di me stessa. Ho trovato un’indifferenza devastante solo la mia pittura, ascoltava muta, lo straziante dolore che ogni giorno accresceva. Le cromie, imprese nella tela come un “vestire” ora sincera ora sognante istauravano un rapporto intimo, intenso ed evocativo con i colori. “L’immagine attraverso dosati racconti tra fantasia e oggettività riproduce un costante dialogo tra l’io e la realtà”.
Emise un grosso respiro.
“ Dicono che la sofferenza sia la strada maestra per arrivare a Dio”.
“ Mi addolora averla perduta, ma, se Dio esiste veramente, le sono grata per avermela data”.