• “Donna,

    continui a sbocciare

     tra gli echi di stanche parole

    nello stupore del giorno”

    Buona era, 8 marzo. Analizzata, sminuita, in ogni caso utile. Nel 1910, durante il congresso socialista di Copenaghen, venne deciso che sarebbe stata questa la giornata da dedicare alla festa della donna. Era l’inizio di un cammino che, in pochi decenni, ha portato l’altra metà del cielo a raggiungere traguardi impensabili fino allora. Cento anni fa le donne non votavano, non studiavano o lavoravano come gli uomini, non potevano scegliere liberamente quando sposarsi, fare figli, separarsi. Per fortuna ci sono i compleanni: danno voce a certe cose decisive per l’umanità, servono a fare il punto sul loro sviluppo. Ma in queste occasioni si tende a guardare al passato mentre, sull’emancipazione delle donne, purtroppo molte cose sono ancora da coniugare al futuro. Rispetto al 1910, la situazione è cambiata tantissimo, quindi è giusto celebrare i progressi ottenuti finora. Oggi le donne vanno nello spazio o al governo, brevettano invenzioni scientifiche e dirigono multinazionali. Eppure, partendo da generazioni e punti di vista diversi, si intravede il rischio di tornare indietro. Il fatto di ricordare come stavamo prima e come ci siamo ritrovate progressivamente è anche un monito alle giovani generazioni per fare in modo che non ci sia una regressione. Le giovani donne di oggi non si rendono conto del percorso compiuto. Approfittano del cambiamento della condizione femminile senza realmente cercare di capire a quale generosità, fede e solidarietà delle donne sia dovuto. Il femminismo non è mai stato una cosa sola. Spesso si è discusso anche su questa data simbolica, “8 marzo, una storia lunga un secolo”, potrebbe essere antecedente o addirittura successiva al 1910. Comunque sia, sembra impossibile abbassare la guardia. Non cantiamo vittoria. Molte conquiste risultano tali solo sulla carta. La donna italiana è minacciata da nuove forme di sottomissione. È ancora difficile essere riconosciuta come persona a parte intera, uguale in termini di diritti, di capacità, di presenza femminile effettiva nella vita pubblica. Occorre anche coltivare e sviluppare identità e soggettività al femminile, senza rinunciare a se stesse. I valori di cui le donne sono portatrici, non sono sufficientemente riconosciuti e apprezzati, anche dalle stesse donne. Però sono valori di cui il mondo oggi ha urgente bisogno, che si tratti di una maggiore cura della natura o di una capacità di entrare in relazione con l’altro.
    Non c’è da stare tranquille, perché si assiste persino al ritorno di vecchi cliché. Un secolo fa Freud notava che le donne erano separate in due categorie: spose legittime e prostitute. Da un lato, oggi, è di nuovo forte la funzione della donna come madre, dall’altro le donne che appaiono sulla scena pubblica sono piuttosto silenziose: per loro parla solo il corpo. Conservare la memoria di tante battaglie, intraprenderne di nuove. Irigaray, vorrebbe che proseguisse la lotta per quella che definisce una “genealogia culturale al femminile”. Alle più giovani, si affida qualche consiglio, le donne devono anzitutto imparare a situarsi rispetto agli uomini, senza sottomissione né opposizione. Ben venga il genetliaco, allora, ma purché sia accompagnato da una spinta nuova, dall’invito a proseguire con decisione sulla via di una crescita. Auguri dunque, ma anche tanto lavoro da fare, ancora.

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