Spinto vestito d’alloro,lasci nel tempo la cecità delle parole
nello specchio dell’occhio nero mielato.
Non piangi gentilezza, puntura del mondo impietoso,
vago cristallo sassoso, nemico di nessuna corazza.
Inciti la musa avara, a cantare un grido spezzato ,
depredando un cuore sbandato, focolaio di odiosi pensieri
intrecciati sui rami che vestono la tristezza.
E’ questo decantare tuo pensiero
reso invano da morte
veste la mia pena
impaurendo i miei pensieri
su l’aria assida di codesto giorno
Preda il mio cuor da fantasmi amanti
insolita luce dei tuoi occhi
irradiando splende
mentre ambrati raggi
cantano ancora la tua storia
un passero picchia alla mia porta.
Mordo il giorno che fugge nel respiro del tempo, leggeri calzari calpestano ricordi dipinti nell’ascolto di un pianto o su un sorriso che l’ansia ha travolto frustando l’angoscia nel tramonto che spegne l’attesa. Le mie lacrime inibiscono un racconto adagiato sui seni della luna sciogliendo invisibili lamenti filtrati di chi vola nel dolore. E’ soltanto un tenue momento estraneo all’occhio di chi guarda e passa veleggiando nel giorno senza fare rumore. Nel tuo sguardo che ancora mi cova torno bambina, fragile all’apparenza, forte nel candore. Quante volte dovrò ancora crollare prima che tu ne abbia abbastanza, potrai deridermi, scoraggiarmi, ma io sono io, gelato alla vaniglia sciolto nel tuo letto ancora caldo. Se pur debole, il mio passo vago schiaccia conchiglie morte. Lascio che il tempo mi ingoi cantando muta nell’ansia di te che amavo arruffando il mio esistere. Ora ballo e gioco a piedi nudi senza suoni, tra i folti cipressi singhiozzanti di passeri custodendo nella lingua di strega messaggi turbati.