Soli, tu ed io,uno stralcio
di ramo fiorito, un figlio
appena partorito, nelle sferzate
raffiche di marzo.
Tu taci, incosciente
raccogliendo i miei muti oggetti
io cullo il tuo silenzio
nel mio sguardo smarrito
nell’ansia di capire quel granello di vita
incatenato alla fragilità dei nostri corpi.
Piangete voi
nell’incolto rosario
lo sguardo su di lei,
ove il buio incalza
nel ballo della luna, inebriando
il sole spento, a tergo astiose stelle.
Piangete voi, l’anima severa,
fuggente, e non
ancora fuggita che per
vincere canta il giorno
mentre le foglie
putride stanno mute
a piangere la campagna.
Piangete voi, un sorriso spento,
sui capelli d’argento,
pigra nebbia vesperale
gemma d’una voce retta,
del pensiero costante
di dire: addio.
Nessuno, la braccerà
nella sua follia, dolore,
frana d’arduo abisso che
echeggiò, balzò, rotolò cupo
e tacque, nel canto d’un verso
di poesia.