Mi fermai qui. Illusa di mirare ciò che vidi davvero l’attimo che ristetti, non fantasie, anche qui le memorie, le forme del piacere dove di sé si faceva maggiore la prova dell’amore. Vidi con te, scolpita, la persona, con emozione ne plasmai il viso lasciando un arcano senso sulla fronte, sugli occhi, sulla bocca. Era volgare e squallida la scena, nascosta dove sorgeva il vicolo angusto e lercio. Di là saliva una voce conosciuta. E là, sul vile, miserabile inganno, cingesti un corpo, non mio. Avesti quella bocca voluttuosa, rosata d’ebbrezza. Lo sento ancora mentre scrivo, disse, prendimi, antiche brame scorrevano nel sangue. Palpitai e palpito ancora a questo ricordo, non spento, lontano, ai primi anni d’adolescenza. Era d’agosto appena consumato con i suoi compromessi e le lusinghe. Fuggii turbinante nell’anima, andai allo sbaraglio bevendo quei veleni. Mi rinchiusi fra quattro muri nudi, mentre il dolore muto, impazzi, ingiuriò e maledisse. Trascorsi il tempo, volli capire. Si presentò e fui costretta a credere alla menzogna. Allungò le mani per abbracciarmi ebbi paura, ribrezzo. Angosciata gridai il mio disprezzo, non ebbi pietà. Lui pallido denudato nella carne, farfugliava retorica e arringhe. Fredda non colse lacrime, i sogni inumati non trovano poesia.