• Un soffio, una bolla.

    Il silenzio

    colora gonfi sogni

    tarlati.

    Increspano gli occhi

    l’ansimare

    delle antiche illusioni,

    amaro fiato

    di gocce

    senza volto.

     

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  • jwwtheladyofshallot1888sr7Lei è bella, avvolta da sfuggente erotismo che tenta celare ma che mi fascia ogni qualvolta che la vedo camminare ignara nel deserto del suo pensiero; quella sera di ottobre un malcontento cielo gonfiava le gote di giovani nuvole assonnate dalla noia, ridendo smorzava gli occhi al sole inseguendolo con una lunga pazza corsa. Lui, per sottrarsi a quella ripicca scese e poi risalì scocciato. In quell’allietare, la mia nostalgia trionfò pietosamente in sguardi ed in parole raddolcendo l’ansia.  L’attendevo, freddo muto come un geco, celandomi tra le ombre di un vicolo denigrato aspettando cosa prometteva l’ultima luce, che cosa aveva in serbo. La conoscenza dell’agonia era una droga che cedeva a un senso di colpa avvizzito nella pelle lasciando un piacere orrido nelle mani impazienti a difendere il tempo tenuto. Infine la vidi, giovanile, luminosa, in quel viale ombreggiato con la sua striscia di verde dove i ciliegi stregati si spogliavano del loro vestire accanto ad un pergolato di buganvillea abbandonato a se stesso. Attendeva, cosa mi domandavo concitatamente. La sera era quasi trasparente. Il mio cuore batteva lugubri rintocchi. Il vento aumentò e con lui l’odore di quei fiori e della polvere che saliva a mulinelli e mi soffocava o era altro che non volevo riconoscere. Senza quasi volerlo fui in quel luogo, dove i miei lenti passi, m’avevano portato. Suonavano intanto diverse campane, una aveva la voce roca e ottusa del peccato. Il paesaggio si frastagliava intorno alla sua linfa ed io non fui da meno. Una luce argentea, sottile fredda logorava un desiderio aguzzino che mi lacerava la carne a poco a poco, cintando la mia lingua di filo spinato, denudandomi, inchiodandomi alle pietre, aria ogni cosa.  Percepivo formicolanti fantasmi giacenti ancora nel mio letto annuire senza bocca, senza occhi, lasciavano oracoli da decrittare nella reminiscenza.  Oh!… Se potessi, solo una volta, toccarla, cucire il suo odore sulle labbra, senza pianti né addii. Modellare la sua effige con la lingua arrivare fino all’antico gioiello scaglia del suo ventre. Io e lei amanti in lieta ebbrezza di cui l’un nell’altro muore. La vagheggiata e accesa sera mutava  le sue forme in quel fuoco che mi attanaglia il ventre  ammutolendomi. Volevo ad ogni costo  assaporare quella pelle lattea  che avvolge il pudore nei suoi veli. Oh! .. quanti momenti le ho dedicato, se lei sapesse, ma lei non sa…forse immagina…forse ha capito. Ed io attendo.

     

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  • .Varca la notte indefinita,  plasmando acconce membra, abbeverando voluttà, veemenza, riverbero di quella fiamma, pelle gelsomino, lasciva nel tempo senza letta né parlata.  Memorie amare in stanze chiuse e profumate d’un remoto piacere che soltanto la notte crapula vive. Ferito, dalla finestra spalancata, schiarito dalla luna il mio corpo veste la lingua del dolore. Un canto, di giovinezza, vagabonda nell’alba, musica, a notte di poesia lontana muore. Mausolei di lacrime chiudono quel gelsomino restando indietro i giorni del passato. Non mi voltai, nella caliginosa riga di spazi brevi. La metamorfosi fra noi si aggirava cercando vedovanza. Il giorno mi insegnò il vero, la sorte declinava. Chiusi la bocca ai suoi denigratori lividi nelle vertigini di una presa. Ahimè soccombé la anima fino alle ossa, sentii l’origine e la fine.

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