Ignuda
come un rivolo
fiore tra i fiori
correvi
Rinacqui
in quella voce d’estate
seguendo
le tue movenze
Lievito,
tra i tuoi pensieri,
riempendoli di aquiloni liberi
di catturare l’innocenza.
Poso, domande su labbra recintate,
le risposte sono vascelli
sepolti nella profondità degli abissi.
Allora parlo del mare lasciato alle spalle,
di umile viole marcite fra le mani,
mordendo ricci che il silenzio raccoglie.
Grido senza bocca, senza lingua, senza gola,
tra i cocci di uno specchio infranto
catturando in ogni riflesso
il profumo del bosco sciamato
tra coperte nere,
nel suono oscuro delle lenzuola.
Straripo scarpe bagnate,
per cingermi di nova veste
su bocche enunciate.
Compro sensazioni,
per cucirle sulla tua bocca,
in una sinfonia di note lasciate,
per accendere la mia carne
protesa al peccato dormiente.
Ti accarezzo tra i rivoli di felci e fiori,
nel bosco che ci vidi bambini ora adulti,
inspirando profumi speziali,
tra coperte ansante di corpi audaci.
Quella pelle, pane sfornato, morbido, fersco,
si apre fumante al sapore di grano.
Ne gusto, ad occhi chiusi, una fetta col burro.
Avidamente, quel sapore è masticato,
penetrato nella gola, con gesti rituali,
tra l’estasi dell’ingordigia.
Incenso, con la lingua famelica di sapore, le dita,
con lentezza, quasi volessi adularli uno ad uno,
per non perdere i brividi invasi.
Odo lontano una nota,
è l’aria di una spigolatrice
tra i campi di grano e papaveri rossi.