•  A Salvo D’Acquisto

    Immagine:Salvo D'Acquisto.jpg

    E’ l’alba

    che chiamò il mio cammino

    di orme incise

    su terra bruciata

    Quando la mia anima

    d’intonata tenerezza

    vestì le pene

    su note di pietà cantate.

    Amante e spietata morte

    squarcia il mio petto

    singhiozzando nell’aria la speranza

    porta sulle ali d’argento

    la mia veste dimessa

    dal vile porpora legge oppressa.

    A testa altera

    pronto amorire

    regalità lucente di una stella

    l’onor del mio paese conserva

    nell’orgoglio della libertà voluta

    del mio apparire.

     

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  • LACIAMI SOGNARE

    Distesa sull’ulivo delle tue incertezze

    inghirlandandomi di spine, palpito,

    inchiodata nelle voglie del tuo respiro

    Ingoio gli istanti,

     tra i laberinti delle parole,

     senza alitare.

    Se plasfemo è il pensiero,

    il dolore è fratello di Croce.

    In sterile, silente sinodo,

    incontro, la tortura dei tuoi abbracci,

    stupita, mi abbandono in un muto urlare,

    gemendo senza stille,

    nell’oscurità di questo giorno radioso.

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  •  

     

     Motel stanza 145.

    Ci sono parole non pronunciate e musiche non suonate che provengono dal cuore una musica soave, intensa, dedicata che arriva fino alle viscere della mia fragilità dove muovo impetuosamente il bisogno di andare subito al piano a suonare. Niente di simile mi era prima pervaso, sto suonando per lei, vorrei mandarle queste note chimeriche di un grande autore scivolatemi sulle dita un pò incerte. E mi scuso se l’interpretazione è pesonalee, mi scuso dell’emozione che traspare, vorrei solo che arrivasse un ventodimusica se ora  presta l’orecchio forse potrà sentirmi ancora suonare nella sala al piano terra del motel su un vecchio pianoforte un pò scordato. Lei non si scompose, era lì seduta in un angolo della sala, indossava un abito rosso a fiori bianchi, un gradevole cappellino le raccoglieva i capelli di grano, una veletta le copriva gli occhi verde mare. Indossava una collana di perle di fiume con orecchini della stessa fattura.
    La sua bocca carnosa evidenziata dal colore rosso del suo rossetto invitava a perdersi nel suo cammino.
    Le sue dita, affusolate, erano coperte da guanti. Sul tavolo aveva una piccola ed elegante borsetta, che ogni tanto apriva per prendere un piccolo specchio racchiuso da una madreperla. Si specchiava, in quella luce soffusa, che si rischiarava da tanto fascino in un’intensità di giallo e rosso catturando fremiti di languente stagione per cedere al fascino di sonno senza risveglio. Sorseggiava con sinuosi gesti il the, alzando appena, appena il dito mignolo, gesti pacati e rituali. Alle prime note, che il piano liberava dalla sua voce plasmando il silenzio in suoni, posò la tazza del the sul piattino e prese un ventaglio di seta e, nascose dietro la sua apertura, la timidezza, mentre l’onda del suo cuore batteva sulla battigia dei desideri. Come aghi nella memoria i ricordi cominciarono a viaggiare su un treno senza fermate dove mancò un orario di arrivo. Gocce d’acqua dense di storia, giravano la ruota del tempo, mentre le note succhiavano il silenzio per far parlare i sospiri graffiando l’area durante l’attesa di nuovi colori incastrati di chiare ed oscure parole svelate sulla tela della paura. Il tempo sembrava eterno in quella melodia,lo sguardo si perse nell’infinito e il cuore si riempiva di gioia, mentre le ultime note disegnate da mano sapienti abbandonavano quei sentieri con un sensuale… ciao. Un gomitolo d’area in fili tenui e forti plasmavano il silenzio, ora tagliente, in suoni di quella musica tra la mente e il cuore, mentre cresceva la brezza di umore ed odore del vento accarezzandole la pelle di gioia convertendola in lusinghe per chi ha mitezza di ascoltarla. Al lento scorrere del tempo respira il profumo per chi voleva amare. Sola con i suoi pensieri esaltati dall’emozione, si alza e con passi felpati cammina verso quel piano. Due sguardi s’incrociarono, sentimenti soffocati si susseguono catturando il cuore. Sanguina la carne, dove la parola non affiora, ma solo così può asciugare una ferita del silenzio. Con eleganza lascia cadere il suo fazzoletto di seta ricami e si allontana. Quel tempo taciuto complice di lunghe attese, regala aspettative nella sua infinita stranezza. Il pianista, con mano stordita, solleva un lembo di quel velo, nessuna parola, solo silenzio trascinano il suo sguardo nell’emozione riuscendo a dire senza parlare, svelando una verità che egli non può capire. Come fratelli, pianto e riso lo legarono, amanti, ciascuno, prima e più ogni altro.
    Baciò appassionatamente quella reliquia ed un raggio di luce, ora, cammina confuso verso ignare speranze. Mentre il profumo di lei straccia orme del suo cammino su note spente.

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    Ma spento non era il suo cuore palpitava esultante a quell’invito e rispondendo al suo richiamo dal piano si alzò per seguire le orne del suo tracciato pensando:

    Nascosto nella luce del pensiero

    nella notte risuona la tua voce nuda.

    Attingo parole vibranti nascoste

    attorno al mio corpo mai baciato dal sole.

    Una nebbia  di vaniglia calda e umida

    sprigiona i nostri sensi straiandoli

    nel giardino dell’attese

     insinuando a raccogliere

    il fuoco che incendia il ventre.

     

    Il pianista nell’estasi di quel dire richiamava alla mente:” Mi raccontava di lei quel profumo, misterioso, ingannevole , dolce, nell’infinito dei sensi. Mi raccontava segreti annusando colori dell’anima, alla luce di un sole già spento, su ogni filare di terra. Camminavo a ritroso trovandomi bambino impaurito ad abbracciare sospiri in quel tempo di vita, senza vita, nell’oggi, ora, mi riconosco la stessa suggestione. Raccoglievo speranze, in gerle di note suonate con rapide mani, senza domande nelle chiare ed inquinate pupille. Stimolanti percezioni destano la misteriosa penombra tratteggiata di orme di lei. Mi accingevo a calpestare seguendo un viaggio senza ritorno, portando come bagaglio una rosa. Bussai a quella porta, Paradiso o Inferno. Destino incerto. Ella mi aprì. Indossava una vestaglia di pizzo nero francese. La finestra aperta dai raggi della salsedine rifletteva il suo corpo. Forse Venere non avrebbe potuto partorire tanta avvenenza. Salate vibrazioni in me coesisterono nel desiserio di accarezzare quel corpo. Ambivo quella pelle nuda per farla mia, tra i sospiri delle onde. Volevo spettinare i suoi capelli colmi di mistero. Pusillanime fu la parola, si celò dietro a quei petali rossi, traducendo parole nel mormorio della risacca ove le stelle marine rimanevano sulla sabbia per far sognare e, la brezza cantava l’attesa dissetando il momento. La porta si chiuse cicolando, dietro le mie spalle, percepii, l’adagio di note suonate e il silenzio cominciò a parlare di noi.

    Nell’aria danzava una canzone d’amore fatta da sospiri e baci, lui chiesi con un filo di voce:-come ti chiami…Chio -rispose lei abbassando gli occhi:

    Doce Chio, stella-margherita,

    fruttuata dal cielo, la tua luce splendente

    nel giorno, mi spinge a camminare

    nella vesioni della poesia.

    Negli abissi della notte  arde il segreto

    alimentato dal fuoco invisibile sussurrante

    cogliami, con tutte le radici

    poichè io possa nutrirmi della tua linfa.

    Spogliami come i petali di una margherita

    lasciando la corolla  frizzante d’effluvio

    affinchè possa compiacere il tuo desiderio.

     

     

    donna

    Nel vortice di questo declamare, i due corpi si adagiarono come piume disperse nel vento sul letto. E’ fu vagito, quella passione. Respiravamo ormai solo spspiri, perdendoci nei laberinti delle nostre attese. Più mi perdevo impigliato nel tempo ad ingoiare un sapore che non è nuovo, ma sapevo dove mi conduceva. L’aria vibrava attraversandomi la mente riempiendola di quella tua presenza a sfamare la mia bramosia. Ci addomentammo appagati ignari del venire, a ciò che si celva nell’ombra oscura Al mattino quando un leggero raggio di sole si posò sul mio viso, mi svegliai. Ancora incredulo guardavo la sua figura angelica distesa sul letto. Cercai di alzarmi senza fare rumore, lei come un felino apri gli occhi e mi chiese:- Tene vai_Non mi dieci tempo per rispondere, che continuò a dire:-Lascia duemila euro sul comodino. Un morso allo stomaco mi divorava, una parte di me stava morendo succhiato da un vampiro. Come una tigre in gabbia tormentata dalla prigione ruggivo la mia disperazione. Toccavo con mano il fuoco ustionandomi, ma avrei fatto finta di dimenticare se quella notte fosse strisciata silente, ma questo non fu. Avevo la voce strozzata che non mi faceva dire niente, apparivo ridicolo, quasi invisibile, scivolando via certezze come nessunaltro. Mi aggrappavo ad un unico spiraglio l’incompressione del detto, ma respiravo già area inquinata. Come il rumore di un crollo girai le spalle abbandonando lostrazio e mi trovai con le mani intorno al suo collo. Sapevo troppo per non imparare ad odiare. Ormai si era spenta quella luce dagli occhi non sapevo più ascoltare. In quell’istante Otello mi prese per mano e mi accompagno nel suo inferno. La lasciai, quando il suo corpo si fermò e i suoi occhi guardavano i miei nell’infinito. Volevo solo una vita per raccontarci, nulla di più, ma ora ho lasciato pezzi di noi ad una morte lenta e anticipata. La composi sul letto del dramma. Era bellissima con quei lunghi capelli di grano cadenti sul cuscino, ancora calda la sentivo fredda. C’eravamo conosciuti senza domande e senza risposte, solo sospiri nell’attesa di una nascita. Ora ero fermo lì a guardarla bevendo il silenzio amaro, saziato e dissetato nell’ombra di quella stanza.

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    Scavato nell’anima si adagiò sul letto accanto a lei prendendole la mano ormai gelida. Profumava di rosa rossa quella mattina, rosso come il sangue versato da uno sparo per non versare più pensieri, per non sentirsi solo da chi cercava e pensava di avere trovato luce tra il silenzio di due bocche, ma quell’ombra nascosta celata l’aveva ingoiato e fatto sparire tra la nudità della sua mente. Giacciono due corpi consumati in quella stanza, non si odono più note suonate da un piano scordato, ma solo un chiacchierio di persone che guardono una scena senza applausi.

     

     

     

     

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