Un tenero ricordo sussurrato
dalla radice del pensiero
gremisce le ombre del tempo
slacciando sipari impigliate nel cianciare
spazi di luce purpura.
Tendono le mani
disfatti e ghiacciati
già infissi nella croce
nell’orrore di un paese in guerra.
S’odono gemiti di bimbi
derubati di sogni
nel giaciglio innocente
Il dolore rasa il destino in ascolto
taciuto da tante ferite
che addolora la carne
Bivacchi sperduti aleggiano
voci nel buio partiti versi l’ignoto
velando il ritorno.
Solo soffio leggero di un canto
intesse un giorno sospeso
tra gli istanti per reperire i delusi
privi di certezze.
Una stella nel frattempo riga la notte
assiepando la quiete
si ferma,per mietere speranze
su lettere senza parole
e senza inchiostro
La soffitta dei ricordi
Dio mio…quanti anni…eppure nulla sembra cambiato.
Ero arrivata con la corriera, vecchio macinino emanante odore da sigari e formaggio pecorino, con i sedili dalle molle consumate con l’autista Gino nome sbiadito ma ancora impresso sulla spalliera scuoiata del suo sedile.
Gino aveva 50 anni più o meno, fronte bassa, capelli brizzolati, occhi colore mare, labbra carnose, nonostante l’età un bello uomo, civettavano le comari del paese, non aveva cambiato i suoi modi era sempre cordiale con tutti, un sorriso e una parola giusta al momento giusto, ormai il paese non lo considerava”lo straniero” ( sopranome datogli agli albori della sua venuta) l’avevano adottato ed era diventato il compare di tutti.
Mi scrutava dallo specchietto retrovisore con aria fugace, ( sicuro si domandava chi ero).
I nostri guardi si incrociavano per alcuni istanti, senza parlare, capivo la sua curiosità, e lo lasciai nel dubbio.
Sorridevo, a questo gioco degli sguardi seduta in fondo alla corriera ( memore il gioco del rimpiattino).
Mi mise a fissare fuori del finestrino aperto.
Il vento scompigliava i miei lunghi capelli castani nel tempo dei lunghi silenzi e dei sorrisi smorti mentre intorno alle spighe di grano danzavano al ritmo del vento ondeggiando una tela di emozioni.
Taciti, caldi, palpitanti sentieri sicuri avvolgevano fiori teneri grembi in cui annegare la paura evaporando i giorni in gocce di malinconia.
Seguivo la mia voce nell’onda segreta dei miei desideri nascosti.
Quando sentii:
-Signorina, signorina è meglio che non si sporga dal finestrino
Tutti i passeggeri si voltarono a guardarmi, impacciata più che impacciata, incavolata, rispose:
– Grazie, non si preoccupi, ( ma non erano queste le parole che volevo esternare in quel istante).
-Nulla signorina è il mio dovere
– rispose l’autista con un sorriso sulle labbra di quello che aveva fatto la sua buona azione giornaliera ( ma era soltanto stata per me una rottura ).
La corriera si gelò all’istante, sembrava una cella frigorifera, strani pensieri senza inizio né fine fiorirono nel disordine di forme e disegni selvaggi…
Al fervente martirio, volevo eclissarmi, mi sentivo una marionetta nelle loro mani, volevo fuggire… ma dove, ero intrappolata e scivolai sul sedile impassibile.
Le prime case del paese si intravedevano all’orizzonte, finalmente pensai siamo arrivati.
Le persone incominciarono a scendere ad ogni fermata, rimasi sola ad arrivare al centro del paese.
Scesi dalla corriera tracciando un segno di croce ( nella mia mente).
I miei piedi intrapresero a scivolare tra i vicoli con ritmo allegro mentre la gioia m’inebriava per la lunga strada ardita.
Baciata dall’armonia apparve la mia vecchia casa., la chiave era sempre nascosta dentro il vaso, la presi e al clic degli scatti aprii la porta ed entrai a punta di piedi.
Intravedevo ed interrogavo le ombre dei silenzi scolpiti nei muri alla ricerca di me stessa.
Il tempo si era fermato nell’orologio della parete non avendo più da dire, solo i ricordi costruiti dalla polvere mi fissavano dalle lancette ormai morte.
L'unico bagliore di vitalita' sembrava provenire da due vecchie lampade da parete con energia sufficente per illuminare la stanza.
L’addormentate finestre incominciarono a svegliarsi guardando finalmente negli occhi la luce seppellita affiorando tra i fievoli raggi solari un sogno custodito nell’abbraccio lasciato.
I miei occhi ancora innamorati in quel silenzio cercavano i suoi, fremiti ed emozione mi fecero tremare le mani alla vista di un messaggio ingiallito lasciato e trovato ancora sul letto.
Tanti dubbi affollavano nella mia mente inquieta: dimenticare? Sognare? Credere?
L’improvviso snodarsi degli eventi rumoreggiarono visioni surreali evocate da memorie: io e te nel letto a brindare respiri nel momento appena nato con un corpo senza via d’uscita colando pensieri dalle labbra illividite dal desiderio, slegando un violino fuggente dagli abissi per approdare nello spasimo della resa mentre l’ultimo rintocco della mezzanotte di dicembre gocciolava dai gesti ritmati.
Gli inebrianti sogni non fuggirono all’alba spaesati viandanti, rimasero nello spazio d’un semplice abbraccio mentre dagli occhi trapelava la primavera ancora lontana.
Ci addormentammo tra le nenie natalizie che giungevano tessendo un futuro di pace ed amore nei profumi dell’aria che si fondevano con i presepi.
Solo al mattino trovai la tua maschera caduta su quel messaggio sotto una rosa quasi appassita: ognuno percorrerà la sua strada…… avevi scritto: sono sentieri che attraversano la terra…tremule lacrime scagliarono le mie speranze per i mari del mondo, una miriade di false promesse esondava fango e tristezza dal cuore, distendevo paure nella certezza .
Ubriaca del dire non seppi ribellarmi e nel tempo tacqui ferite cucite sulla pelle.
Molti inverni si sono schiusi nella nenia di quel giorno, l’acqua per la mia sete è ancora negata, chi sa se questo viaggio per me finirà di fronte ad un fantasma ormai fuggito adesso che so, che tu, ancora non hai radice e continui ad invecchiare palpiti di vita nascoste nei profumi che si emanano nell’aria.
Se mi domandate chi sono
devo dire:Uomo
Devo parlare di un paese cibato
con il nostro triste sangue,
del fuoco che distrugge:
non conosco giochi
accarezzo fucili
e lascio alle spalle scie
di corpi spogli di cimiteri,
o gente che guaisce.
Perché tante ragioni non conosco,
perchè il giorno lega un altro giorno?
Perché dove io cammino
non c’è vita? Perché i morti?
Se mi domandate da dove vengo,
devo dire: da culle vuote
da seni troppo amari
da denti che mordano il silenzio
da case innalzati da coltelli
da sogni annegati dai sciacalli