Scorrono immagini, parole,
protagonisti di storie andate
compagne di foschie
accumulate
nel solco imcolmabile
dei distacci
Impalpabile come il vento
la voce indistinta
profuma di un rifiorire
nella terra mai sazia
di un corpo spalancato
dove gemiti corrono
nell’aria tersa senza cieli
tra luminari di candele
sbircianti
senza ritegno.
Languide carezze
fuggono nel vortice
di giochi
panna e miele
come un fulcro
muoio
nell’alcova dell’ape regina
lasciandoti andare
nella danza ventrale
tra tamburi e pifferi
sonanti
Oscurato senno
di una notte
amara
tra i pensieri che
farfugliano
e
fremono
nel corpo desertico
che giace vinto
tra le alghe del mare
rimane
a guardare la luna
che
non smette di illuminare
tra
i murali di stelle
riverberando
sogni appesi
di una preghiera
veemenza
Freddo
il mare oscuro privo
di onde
calpesta il dolore
e
la rabbia
perseguitando
con insulse sciacquii
l’incoscienza
a scandire
un pò di pietà
Artigiata mano
strappa dal petto
questo sanguinante core
così lo strazio non potrò sentir
in questo infausto dì
Gelido corpo
oh….. nefausta morte
al mio cospetto portasti
quel frutto del mio ventre
che culla fece nell’era
Oh…Tu che la vita gli donasti
perchè questo fato gli segnasti
La Madre Tua
questo dolore avei
non ti commise le Sue pene
le lacrime di dolore che la straziò?
Di Ella non ti pianse il cor
così pietà tu potesse avere
e di quel fato nessuna madre
potesse sembrar ricordo
Figlio di una croce insaguinata
perchè, l’oscura falce
tanciò le carni
del giovane innocente
ancora in fiore
iniziali passi spingea a dar alla vita
bensì l’averno opprimesti andar
Sorella sventura
con inganno cingesti la sote mia
che maleficio venga a mio soccorso
e di bestemmie tu possa sopperir
Oh… bocca che non odo più chiamare
Oh… labbra stradicate al mio baciare
gli occhi sono chiusi,
al sole, alla luna,
al ciel, al mare
e loro sono qui a pregare.
Candide veste fasciano
un ghiaggiato corpo
su un sepolcro dai ricami d’oro
Oh… gente piangete il mio dolore
Beati sopperite costei sventura
così ne possa far ragione
Oh… Dio pietà di me
tu non avesti
accogli la invocazione
di una madre
fa che lo giunga, ora, si…presto
Culla saranno le mie mani
sarà caldo tra le mie braccia
canterò la sua nenia
per una seren riposo
nel sepolcro tetro
solo non spetti stare.
Premio speciale del 5° concorso di poesia "Don Luigi Riva"
Critica:
Possono mai le parole esprimere lo strazio di una madre per la morte del figlio? Il componimento mostra un mirabile intraggio di ritno, linguaggio e immagini che toccono il cuore. Lo sfogo di una madre si intesse sui rintocchi soffocanti di lugubre lamento: preda di rabbia e dolore, ella colma il lacerante vuoto rivolgendo amari rimproveri a colei che sottrae e a Colui che dona la vita, ammaestrando al coltempo l’eloqio a preteriti toni esplosivi che proiettano l’ascoltare sul palcoscenico di una tragica veglia.